di Michele Bellelli

Nel corso della loro centenaria storia le officine Reggiane hanno costruito quasi ogni tipo di manufatti. Dalle produzioni ferroviarie (locomotive, carrozze, carri merci), agli aeroplani, passando per macchinari agricoli di ogni genere (molini, pastifici, trattori), attrezzature e gru portuali, automobili, mitragliere, proiettili, attrezzature militari varie. Dall’archivio storico dell’azienda emerge una verità, in fondo già nota, che forse non ha avuto un’adeguata valorizzazione. I periodi di maggior successo industriale e commerciale sono coincisi con i due conflitti mondiali e con la guerra fredda, che vide la NATO e il Patto di Varsavia contrapporsi sui due lati della cortina di ferro. Le commesse militari garantivano un buon fatturato e un aumento dell’occupazione.
Nelle pagine che seguono analizzerò questi tre periodi decisivi per la storia italiana ed essenziali per lo sviluppo industriale del paese e delle Reggiane.

1915 – 1918

Gli anni della prima guerra mondiale purtroppo sono quelli meno documentati nell’archivio aziendale; di fatto le uniche testimonianze disponibili sono i verbali del consiglio d’amministrazione, i bilanci e qualche statistica e relazione redatte negli anni successivi. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, l’intera industria nazionale si mobilitò per sostenere il conflitto. Il 31 maggio si riunisce il cda guidato dal presidente senatore dottor Enrico Scalini e dal direttore generale e consigliere delegato Giovanni Prampolini. L’argomento principale è ovviamente la possibilità di ottenere commesse dall’esercito per le quali erano già state avviate delle trattative “per ingenti forniture militari… di proiettili come di veicoli; l’ammontare delle forniture ascenderebbe a sei o sette milioni…”(1).

Le forze armate passano il loro primo importante ordine alle Reggiane il 20 settembre: 300.000 granate per artiglieria del tipo 70 montagna e 75 mm. Per soddisfarla viene intrapreso uno sforzo straordinario per un’azienda che fino a quel momento non aveva particolari esperienze in questo ambito. Rapidamente i dipendenti passano dai 1200 del 1914 ai 3000 dell’anno successivo e negli Stati Uniti vennero ordinati appositi macchinari. I problemi naturalmente erano all’ordine del giorno, ma vennero tutti affrontati e superati. Uno dei più gravosi riguardava la manodopera specializzata che oltre a non essere numerosa spesso lasciava le Reggiane per altre aziende che probabilmente garantivano salari maggiori. I macchinari ordinati oltreoceano tardavano ad arrivare e la produzione ne risentiva in maniera significativa: l’esercito avrebbe voluto 5000 proiettili al giorno, mentre la produzione effettiva oscillava fra 2600 e 4000. Per porvi rimedio ed evitare di perdere future commesse le Reggiane costruirono ben 900 macchine utensili che vennero alloggiate in 25.000 metri quadrati di capannoni nuovi (altre 300 macchine furono costruite insieme ad altre ditte).

Poco alla volta la produzione assunse i ritmi previsti fino a raggiungere il suo massimo (alla fine del 1916) di 10.000 proiettili al giorno grazie ad una forza lavoro aumentata a 6000 unità (1200 donne), con una media di 4,2 proiettili al giorno per operaio. Sempre nell’ambito delle munizioni per artiglieria la produzione venne diversificata con nuovi calibri come il 37 fanteria, il 65 montagna e i grossi calibri da 280 e 305 mm (2).

Nel settembre 1916 l’amministrazione militare apre un’inchiesta a carico delle Reggiane, accusate di non rispettare gli obblighi contrattuali. Fra le accuse mosse c’erano quelle di produrre troppo poco in relazione al numero degli addetti e di non essere adeguatamente organizzate. L’azienda individuò le cause dei ritardi nei mancati arrivi di macchinari dagli Stati Uniti (ne erano giunti solo sette su ottanta) e nella necessità di addestrare operai non specializzati. La produzione dall’inizio della guerra era di L. 23.550.000 dei quali L. 10.800.000 (45,86%) per proiettili, L. 3.000.000 per impianti e macchinari, L. 5.000.000 per forniture militari minori, L. 3.900.000 per le ferrovie dello Stato e L. 850.000 per ferrovie private. “Sono attualmente in funzione n. 540 torni i quali danno una produzione di oltre 6000 proiettili al giorno. Ogni tornio produce quindi giornalmente 12 proiettili completi con ogiva”. Infine, secondo le Reggiane, i metodi di collaudo utilizzati consentivano di collaudare solo 3500 proiettili al giorno, mentre secondo la direzione era possibile elevare il numero a 8000 con altri metodi. Un’altra causa non imputabile all’azienda era l’eccessivo potere concesso agli ufficiali che controllavano lo stabilimento dopo che nel giugno 1916 era stato dichiarato ausiliario(3).

Nel 1917 la società Caproni fa capolino per la prima volta nella storia della nostra azienda passandole un’ordinazione per la costruzione di 300 bombardieri. Come già avvenuto l’anno precedente, le Reggiane prepararono nuovi capannoni per 12.000 metri quadrati e pensarono alla costruzione di un “campo volo” per collaudare gli apparecchi. La fine della guerra tuttavia impedì che questa nuova commessa iniziasse; le uniche attività aviatorie si limitarono ad un aeroporto militare a Rubiera e ad un progetto di piste di atterraggio d’emergenza lungo la via Emilia. Altre produzioni militari minori eseguite in quegli anni riguardano carriaggi leggeri e pesanti, affusti per mitragliatrici e cannoni, carrette e locomotive decauville per il genio militare(4). Vennero acquisiti i proiettifici di Modena e Bologna Casaralta(5). Il capitale sociale passò da L. 8.000.000 del 1915 a L. 32.000.000 nel 1919(6).

1940 – 1945

Il periodo della seconda guerra mondiale è quello più famoso per la storia delle Reggiane ed è anche quello meglio documentato, sia nell’archivio aziendale che da numerose altre pubblicazioni. Nel 1935 l’azienda cambia proprietà, passando dall’IRI al gruppo Caproni. La presenza dell’azienda di Taliedo non sarà effimera come nella grande guerra, ma influirà pesantemente sulle politiche aziendali e sulla sorte stessa del complesso industriale di via Agosti. Rapidamente viene imbastito un vero e proprio programma aeronautico che sarà realizzato in parte grazie a licenze di costruzione della casa madre e in parte con progetti concepiti dalle Reggiane e dall’Ufficio studi e brevetti del gruppo Caproni. I primi prodotti aeronautici sono stati motori e velivoli Savoia Marchetti SM 79 costruiti su licenza; nel frattempo il direttore delle costruzioni aeronautiche, l’ingegner Giovanni Pegna, progettava i primi velivoli “made in Reggio”. Il primo in assoluto è stato il bombardiere P 32 bis, ideato insieme alla Piaggio, per il quale era giunta una commessa della Regia Aeronautica per 24 esemplari al prezzo di L. 700.000 ciascuno, per un totale di L. 16.800.000 da consegnare fra il settembre 1936 e il gennaio 1937(7).

Un’azienda aeronautica aveva bisogno di un pilota collaudatore e di un aeroporto per testare i velivoli. Il 17 e 18 marzo 1936 il direttore generale Degola si recò a Roma per incontrare il pilota Mario Gamna ed offrirgli il posto di collaudatore delle Reggiane. Torinese di 47 anni, Gamna era un capitano in pensione dell’aeronautica, pilota dal 1915. In precedenza aveva pilotato un Ca 97 in un viaggio lungo tutta l’Europa ed era stato addetto ai collaudi di aerei al campo di volo di Montecelio ed era stato direttore delle officine Olma di Milano. Il suo ultimo lavoro era alla Piaggio, dalla quale venne licenziato per un incidente in fase di atterraggio. L’ingegner Pegna lo definiva un aviatore esperto, prudente, coscienzioso e sicuro. L’assunzione non poté aver luogo immediatamente per l’opposizione dell’ingegner Piaggio (il P 32 era un progetto condiviso con la fabbrica di Pontedera) che aveva scelto come collaudatore De Bernardi: un nome che ritroveremo ancora nella storia delle Reggiane. Le polemiche con la Piaggio sarebbero continuate anche nelle settimane successive grazie alle autorità aeronautiche che accusavano il gruppo Caproni di “… far sorgere una nuova unità aeronautica a Reggio Emilia, [mentre] ne stava ne stava demolendo pian piano un’altra attraverso continue sottrazioni di personale…”(8).

Il contratto definitivo per i 24 aerei venne stipulato durante un viaggio a Roma del direttore generale fra il 7 e il 9 maggio 1936, proprio in concomitanza con la proclamazione dell’impero fascista(9).
Gamna sarebbe poi stato effettivamente assunto alle OMI e avrebbe collaudato il bombardiere fino al tragico epilogo della sua breve vita reggiana, avvenuto il 25 febbraio 1938 quando morì schiantandosi al suolo mentre era ai comandi di uno dei P 32 bis. La commessa venne annullata.
Nel 1936 vennero presi anche gli accordi con l’amministrazione aeronautica che aveva riconosciuto come proprio interesse “l’opportunità e la convenienza di incoraggiare tangibilmente il programma della Società Officine Meccaniche Italiane Reggiane…” concedendole l’uso del campo di fortuna di Reggio Emilia.
Fra i nuovi progetti legati all’industria militare e mai portati a termine merita un cenno la cosiddetta aerobomba. Concepita fra il 1936 e il 1937 dall’ingegner Pegna, era un ordigno dal peso di 500 kg e dalle fattezze che ricordano il “fat man” che sarebbe stato lanciato su Nagasaki nel 1945. Ne venne costruito almeno un esemplare e la sua esistenza è provata da alcuni documenti dell’archivio aziendale e da due fotografie pubblicate nei volumi di Sergio Govi. Non è noto che tipo di aereo avrebbe dovuto trasportarla(10).

Dopo un altro tentativo fallito di produrre un nuovo bombardiere (Ca 405) la grande occasione per le Reggiane si presentò con il concorso indetto dalla Regia Aeronautica il 5 gennaio 1938 per la costruzione di un caccia monoplano, monoposto, con motore stellare e due mitragliatrici da 12,7 mm(11) (i progetti erano da presentare entro il 31 marzo e i prototipi entro il 1° maggio 1939).
Un mese prima, dal 2 al 15 dicembre 1937, una delegazione delle Reggiane formata dagli ingegneri Antonio Alessio e Fidia Piattelli, si era recata negli Stati Uniti per studiare e prendere visione delle aziende aeronautiche d’oltreoceano.
A questo punto è necessario fare una piccola premessa su quello che è diventato il RE 2000. Molto si è scritto e altrettanto ipotizzato sulla sua origine, sulla sua fin troppo evidente somiglianza con il Seversky P 35 e su misteriose operazioni che avrebbero portato l’ingegner Longhi in Italia. La relazione di Alessio sul viaggio negli Stati Uniti chiarisce questi aspetti dandogli un aspetto meno misterioso e più pratico(12).

I contatti per entrare nelle fabbriche statunitensi si ottennero grazie all’American armament corporation, una società che si occupava della vendita di apparecchi Seversky e Barkley. Fra gli aerei analizzati ed apprezzati c’era il Seversky Pursuite P 35.

Ricorda Alessio in una relazione fatta al rientro: “Mediante l’aiuto di questa società di vendita è stato possibile avere diverse prese di contatto con la ditta Seversky e di assistere ai voli dimostrativi del più alto interesse di un apparecchio pilotato dal maggiore Seversky in persona, che allo indomani della mia visita effettuò un raid New York – Cuba alla media di km orari 530 circa13.” Grazie all’intercessione dell’AAC si poté evitare di chiedere il permesso di vista al Dipartimento di Stato di Washington come avvenuto per le altre aziende e “la nostra ambasciata è assolutamente coperta nell’eventualità che si addivenga alla riproduzione dell’apparecchio… mediante l’opera intermediaria della nota persona”.

Lascio ancora la parola all’ingegner Alessio: “Fummo in relazione con il maggiore Seversky in persona, con i suoi ingegneri progettisti e con altri suoi collaboratori e ci furono rimessi fotografie e dati riservati dell’apparecchio P 35, che data la sorveglianza esercitata dagli ufficiali della aviazione americana sullo stabilimento, sono tenuti generalmente assai riservati. L’apparecchio è… il più avanzato che esista oggi per la caccia ed il combattimento oggi in America… sopravanza di circa 200 km all’ora i nostri Caccia Fiat GR 30 e di circa 100 km all’ora quella che si dice raggiungano oggi gli apparecchi intercettori italiani in esperimento, tipo G 50 e Ro 51”.

Il giudizio di Alessio è chiaro: “E’ da ritenersi che una Ditta la quale possa impadronirsi di queste costruzioni sarebbe in condizioni di portare il suo livello tecnico alle più alte espressioni, poiché ben poche aviazioni militari risultano oggi possedere alcunché di paragonabile…”(14).

Proseguendo la lettura della relazione emerge un dato a mio avviso essenziale per ricostruire la nascita del RE 2000: “Il prezzo richiesto per la fornitura di tutti i disegni costruttivi ed attrezzature, delle istruzioni per la costruzione e la cessione di un apparecchio campione, è di dollari 325.000 pagabili il 40% alla firma del contratto e il 60% alla consegna ed accettazione del rimanente. Il tempo per la fornitura suddetta è di 90 giorni”. La cellula dell’apparecchio era in vendita a 18.000 dollari.

Più volte nella relazione si fa riferimento ad una “nota persona”, mai indicata per nome, che avrebbe aiutato le Reggiane a ricostruire il P 35 e che evidentemente dovrebbe trattarsi dell’ingegnere Roberto Longhi.

Sentiamo ancora Alessio: “… ho verificato la reale consistenza degli elementi in possesso della nota persona e ritengo di poter formulare l’opinione che questi ha in mano dati sufficienti per riuscire a riprodurre, con un lavoro di non oltre due mesi di progetto, l’apparecchio militare americano. La nota persona domanda per la sua collaborazione la somma di dollari 7000 in valuta italiana… chiede inoltre il rimborso del viaggio per se e famiglia dall’America all’Italia, la corresponsione di una mensilità di L. 5000… e un premio di produzione di L. 10.000 per apparecchio”.

Le Reggiane non erano l’unica azienda interessata all’uomo misterioso: “La nota persona rimarrà a nostra disposizione per tutto il mese di gennaio, dopo di che si riserva di offrire quanto è in suo possesso alla Ditta Piaggio, con cui è già in relazione…”. In caso di mancato accordo con entrambe “… distruggerebbe quanto in suo possesso per passare alle dipendenze della Ditta Seversky, che ne sollecita la collaborazione quale rappresentante per l’Europa(15)”.

La relazione si chiude con una serie di vantaggi e svantaggi che si sarebbero presentati portando avanti l’operazione. I primi sono quelli di essere “assolutamente sicuri sulla riuscita della costruzione, disponendo della più larga e sperimentata collaborazione del licenziatario… [inoltre si sarebbe avuta] chiarezza di azione in quanto non verrebbe mescolato il nome nostro e soprattutto dell’ing. Caproni, che ha larga risonanza in America, in una azione la quale ha indubbiamente molti lati poco simpatici”. Gli svantaggi sono “oltre al forte esborso… quelli di mostrare alle Autorità Aeronautiche che non siamo capaci di realizzare un progetto originale di nostra testa ed abbiamo bisogno dell’acquisto di licenza, cosa contro la quale è instaurata da tempo in Italia una campagna a carattere politico”. Sarebbe importante, secondo Alessio, “… poter sostenere ufficialmente una certa paternità nel progetto, cosa che ci consentirebbe forse di affrontare, in caso di riuscita, anche mercati di esportazione…” una situazione che sarebbe stata molto meno agevole agendo le Reggiane come licenziataria della Seversky(16).

Il resto è storia nota: il RE 2000 fece un’ottima impressione nel concorso (che, a detta di Alessio, aveva tutta l’aria di voler favorire la Breda) e nei collaudi, pilotato da De Bernardi, ma venne scartato in favore del Macchi M.C. 200. La Regia Aeronautica passò alle Reggiane un ordine iniziale di 12 velivoli, mentre la Svezia e l’Ungheria ne acquistarono alcune decine per le loro aviazioni.

Nel corso degli anni successivi, fino all’8 settembre 1943, le Reggiane progettarono e costruirono altri velivoli tutti classificati con la sigla RE da 2000 a 2006 venduti con alterne fortune all’arma azzurra. Quest’ultima continuava a ordinare centinaia di aerei, salvo poi ridurne immancabilmente il numero e chiedendo continue modifiche ed aggiornamenti che intralciavano sia la progettazione che la produzione. Del solo RE 2000, oltre alla versione standard, ne vennero chieste la versione grande autonomia, catapultabile e imbarcata per le portaerei.

L’occupazione tedesca è un momento fondamentale anche per la fabbrica di Santa Croce, che passa sotto il diretto controllo dell’Incaricato generale per l’Italia del Ministero del Reich per l’armamento e la produzione bellica. Le officine Reggiane sono dichiarate “facente parte delle officine per la difesa e sono quindi alle dipendente [dell’incaricato generale]… Hanno diritto a dare istruzioni solamente gli appartenenti a questo presidio. È vietato asportare dall’officina materiali, macchine ed installazioni…è vietato a chiunque senza il… permesso e per qualsiasi motivo di rimuovere impiegati ed operai…”(17).

Durante i venti mesi di guerra di Liberazione, la fabbrica, bombardata, smantellata e parzialmente trasferita in altre sedi in Lombardia e Veneto, lavorò per i tedeschi che imposero l’abbandono di tutte le costruzioni aeronautiche ad eccezione del RE 2002 che fu utilizzato dalla Luftwaffe in alcune decine di esemplari. Proprio per provvedere alla sua manutenzione le autorità tedesche avevano chiesto 24 operai specialisti da trasferire presso aeroporti in Germania e non avendo ottenuto una risposta soddisfacente, il 31 luglio 1944 ne convocarono alcuni presso la direzione cittadina di via Toschi. Convinti di essere chiamati dai propri dirigenti gli operai si presentarono, ma trovarono ad attenderli dei soldati tedeschi che senza ulteriore indugio provvidero al loro invio in Germania.

Ufficialmente avevano un contratto di tre mesi per la manutenzione dei velivoli RE 2002, ma il loro rientro non avvenne che a fine guerra o poco prima, salvo alcuni che furono sostituiti da volontari. Nell’archivio aziendale c’è un corposo fascicolo che dimostra i tentativi infruttuosi della direzione di far rimpatriare i propri operai appellandosi al rispetto dei contratti e a tutte le autorità fasciste e tedesche. Emerge anche la preoccupazione dei dirigenti di essere incolpati, a guerra finita, della deportazione dei loro dipendenti, tanto che i tedeschi rilasciarono dei documenti che li discolpavano per gli eventi del 31 luglio 1944, ammettendo di avere agito all’insaputa di tutti(18).

Che cosa rimane degli aerei Reggiane oggi? Ben poco purtroppo. La produzione, pur se di alta qualità, è stata del tutto insufficiente dal punto di vista numerico per le esigenze del conflitto. Dal 1936 al 1944 le Reggiane hanno costruito appena 1260 aerei, compresi quelli su licenza. È un dato significativo che l’apparecchio prodotto in maggior numero non sia stato uno della serie RE, ma il Savoia Marchetti SM 79, costruito in 405 esemplari (32%), seguito dal RE 2000 in 349 unità (27,7%), 237 furono i RE 2001 (18,8%), 225 i RE 2002 (17,8%), appena 37 furono gli eccellenti RE 2005 (2,9%), 2 ciascuno per gli sfortunati P 32 bis e Ca 405 e un unico esemplare il RE 2006 (era previsto anche il RE 2004, ma non ne venne mai completato neppure uno). Un altro favoleggiato progetto, quello del RE 2007/8 a reazione, al momento non ha trovato riscontro nell’archivio aziendale(19). Se paragonati alle produzioni di altri aerei, sia da bombardamento che da caccia, nazionali e stranieri, sono numeri che bocciano totalmente la capacità produttiva delle Reggiane in relazione alle esigenze belliche, soprattutto considerando che al culmine della sua attività l’azienda occupava oltre 10.000 dipendenti, la metà dei quali addetti al reparto aeronautico.

La scarsa produttività non era un problema solo delle Reggiane, l’intera industria nazionale non era in grado di soddisfare le esigenze militari di un conflitto come la seconda guerra mondiale, a cominciare dalla carenza di materie prime e di direttive politiche ed economiche chiare.
Il confronto con gli altri paesi è impietoso: dal 1940 al 1943 il nostro paese produsse 11.508 aerei di ogni tipo(20). Nel solo anno 1943 gli Stati Uniti fornirono alle proprie forze armate 85.898 velivoli, la Gran Bretagna 26.263, la Germania 24.807 (e avrebbe quasi raddoppiato l’anno successivo), l’Urss 34.900, il Giappone 16.693(21). In quell’anno la Regia Aeronautica prevedeva una produzione totale di aerei di 3557 unità(22).
Oggi sopravvive solo un RE 2000 intatto, conservato presso il museo dell’aviazione svedese a Linkoping. Alcuni relitti sono stati individuati, recuperati e sottoposti a parziale restauro; tutti gli altri sono andati perduti durante la guerra o poco dopo.

La guerra fredda

La fine della seconda guerra mondiale pone fine all’innaturale alleanza fra gli alleati occidentali, Stati Uniti e Gran Bretagna, e l’Unione Sovietica, cementata solamente dal comune nemico. Le conferenze di Yalta e Potsdam disegnano quello che sarà il mondo diviso in due blocchi separati da quella che Winston Churchill definirà la cortina di ferro. In Europa le scelte di campo sono di fatto obbligate, a seconda che nei vari paesi sia arrivata l’Armata Rossa o l’esercito statunitense. In tal modo l’Italia può riprendere, poco alla volta, il cammino verso la democrazia interrotto dalla dittatura fascista. Il 2 giugno 1946 il referendum istituzionale sancisce la nascita della Repubblica e l’esilio dei Savoia. Ben presto la guerra fredda fa capolino anche nel nostro paese e il governo del Cln, con tutti i partiti antifascisti, il 1° giugno 1947 cede il passo ad un esecutivo targato DC e guidato da Alcide De Gasperi, mentre i partiti socialista e comunista passano all’opposizione. Le elezioni del 14 aprile 1948 sanciscono la vittoria elettorale della Democrazia cristiana e la sconfitta dei partiti di sinistra, riuniti nel Fronte popolare. Il 4 aprile 1949 e il 14 maggio 1955 vengono fondate rispettivamente la Nato e il Patto di Varsavia.

All’interno di questo contesto più ampio si svolge l’atto finale delle vecchie Reggiane, che non sono mai riuscite a riprendersi dalla guerra. Dopo due anni di vertenze e un intero anno di occupazione dello stabilimento, nel 1951 le OMI sono dichiarate fallite: dei suoi 11.000 dipendenti, dei suoi maestosi aerei, dei suoi famosi treni non rimane più nulla.
Nel 1952 aprono i battenti le Nuove Reggiane con appena poche centinaia di dipendenti, rispetto alle migliaia che erano appena pochi anni prima.
Dopo la lunga vertenza, sostenuta dalle forze politiche e sindacali comuniste e socialiste, le assunzioni erano ora fatte non soltanto sulla base della capacità professionale, ma anche su quella dell’affidabilità politica. Era una decisione crudele, ma che rispondeva ad una precisa logica: da quel momento infatti le Nuove Reggiane ebbero nuovamente numerose commesse militari e in un’epoca nella quale il nostro paese aveva appena aderito alla Nato e lo scontro ideologico fra i due blocchi era al culmine, era indispensabile che all’interno dello stabilimento non vi fossero elementi che non rispondessero pienamente ai criteri della fedeltà atlantica.

Le produzioni militari ritornarono all’origine, proiettili e artiglierie, in particolare mitragliere antiaeree Bofors più qualche altra commessa minore.
I clienti non erano più soltanto le forze armate italiane, ma ora comprendevano molti paesi aderenti alla Nato, inclusi gli Stati Uniti, ma anche Francia, Turchia e perfino la Germania Ovest.
Per garantire la segretezza e la sicurezza delle commesse militari non era sufficiente la selezione “politica” del personale (nell’archivio aziendale sono conservati elenchi di dipendenti che venivano ammessi o esclusi dai reparti militari): erano in vigore precise leggi, norme e regolamenti che dovevano regolare questa delicata questione. Fra i documenti più interessanti c’è un vero e proprio manuale del Sifar intitolato “Norme unificate per la tutela del segreto, volume III: sicurezza industriale”.

Uno dei documenti più interessanti di quegli anni è la lettera, classificata riservata, che le Reggiane inviano alla Finanziaria Ernesto Breda e al comitato di difesa civile il 9 maggio 1961 con argomento i rifugi antiaerei: “… questa società non è fornita di idonei rifugi per le maestranze, né sono attualmente in programma opere del genere od altre misure di protezione”.
Per la storia delle Reggiane è un documento importante per tre motivi. Innanzitutto per il periodo nel quale è stato scritto, la primavera del 1961, uno dei momenti più drammatici della guerra fredda. Meno di un mese prima si era verificato il tentativo di insurrezione contro Fidel Castro a Cuba, la cosiddetta invasione della Baia dei Porci, mentre poche settimane dopo sarebbe iniziata la costruzione del muro di Berlino (l’anno successivo, sempre a Cuba, ci sarebbe stata la cosiddetta crisi dei missili). Gli eventi della guerra fredda facevano ritenere necessario che le industrie italiane si dotassero nuovamente di rifugi antiaerei.
Le Reggiane ne erano completamente prive: alcuni, costruiti venti anni prima per proteggere la popolazione del quartiere, erano stati demoliti, mentre altri erano in stato di abbandono. Ne esisteva uno intatto, in effetti, nei sotterranei della palazzina direzionale di via Agosti, ma al suo interno era stato depositato l’archivio aziendale, dove sarebbe rimasto per i successivi quarant’anni, fino a quando non venne trasferito al Polo Archivistico e reso accessibile al pubblico.

(1) Archivio Officine Meccaniche Italiane (Aomi), busta n. 1, verbali dei Consigli di amministrazione, 31 maggio 1915.
(2) Aomi, busta n. 50, Memoria sulle possibilità di produzioni belliche delle officine di Reggio Emilia, 23 settembre 1935.
(3) Aomi, busta n. 1, verbali dei Consigli di amministrazione, 16 settembre 1916.
(4) Aomi, busta n. 1, verbali dei Consigli di amministrazione, 7 marzo 1917.
(5) Aomi, busta n. 157, Appunti di risposta alle domande e quesiti rivolti dal Ministero alle Officine Meccaniche Italiane.
(6) Aomi, busta n. 157, Estratto del volume “Cenni su alcuni valori industriali.
(7) Aomi, busta n. 48, Programma finanziario delle occorrenze per realizzazione degli impianti e svolgimento commesse aeroplani e motori.
(8) Fra il personale sottratto c’era anche l’ingegner Camillo Battisti, figlio di Cesare Battisti, eroe irredentista della prima guerra mondiale.
(9) Aomi, busta n. 48, Rapporti di viaggio del direttore generale Degola.
(10) Aomi, busta n. 48 e Sergio Govi, I reggiane dalla A alla Z, Apostolo, Milano 1985.
(11) Piero Prato, I caccia Caproni Reggiane 1938 – 1945, Intyrama, Genova 1968, pag. 7.
(12) L’autobiografia di De Bernardi accenna ad una causa fra la Seversky e le Reggiane nel dopoguerra, con tanto di risarcimento della seconda verso la prima, ma non rivela il motivo del contendere. TITOLO
(13) Aomi, busta n. 840, Relazione sul viaggio d’istruzione negli Stati Uniti d’America.
(14) Aomi, busta n. 840, Relazione sul viaggio d’istruzione negli Stati Uniti d’America.
(15) Aomi, busta n. 840, Relazione sul viaggio d’istruzione negli Stati Uniti d’America.
(16) Aomi, busta n. 840, Relazione sul viaggio d’istruzione negli Stati Uniti d’America.
(17) Aomi, busta n. 73, Rapporti con enti germanici.
(18) Aomi, busta n. 73, Rapporti con enti germanici.
(19P. Prato, I caccia…, p. 63.
(20) Cronologia.leonardo.it/storia/a1940cz.htm, consultato il 30/12/2015.
(21) www.nationalww2museum.org, consultato il 30/12/2015.
(22) www.alieuomini.it, consultato il 31/12/2015.